• Dottoressa Elena Pellizzari

    Psicologa Psicoterapeuta

     

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  • Non si vive per far contenti gli altri

  • “Se vivi per far piacere agli altri, saranno tutti contenti…tranne te”

    Vi è mai capitato di fermarvi un attimo dalla routine quotidiana e trovarvi a chiedervi: “ma io cosa voglio?”, “sto realmente facendo ciò che desidero?”, “ciò che ho scelto era realmente quello che sentivo giusto per me?”

    Le aspettative che gli altri riversano su di noi come figli, familiari, amici, compagni, genitori e via dicendo, non solo arrivano a condizionarci e farci agire in determinati modi, ma ci impediscono di capire realmente chi siamo e cosa vogliamo noi, indipendentemente dall’intorno, a volte arrivano addirittura a schiacciarci e a farci seguire per inerzia un “piano” predisposto da qualcun altro, che noi assecondiamo quasi fossimo degli automi.

    I motivi che spesso ci spingono a comportarci più per come pensiamo che gli altri si aspettino, che per ciò che davvero sentiamo, sono molteplici, ma hanno comunque a che fare con la nostra storia personale. Da bambini abbiamo il bisogno di sentirci amati dai nostri genitori, che sono il punto di riferimento della nostra autostima, la base da cui creiamo o iniziamo a dubitare delle nostre sicurezze e per farci amare siamo disposti a tutto. Crescendo poi ci troviamo a confrontarci con i coetanei e abbiamo l’obiettivo di sentirci accettati e se per come siamo spontaneamente non otteniamo questo, ci adatteremo alle richieste che ci sembrano pervenire. Oltre a questo, dobbiamo tener conto del contesto socio-culturale in cui siamo inseriti e ciò ci porta a formarci degli schemi mentali per cui riconosciamo come buone (perché condivise) alcune caratteristiche e come non buone altre (perché non accettate dalla cultura nella quale viviamo).

    Una parte di noi per diverso tempo ha sicuramente tratto vantaggi da tutta questa passività (anche se spesso inconsapevolmente) per esempio, lasciando che gli altri decidessero al posto nostro perché noi in realtà, non eravamo in grado di prendere delle decisioni o una grossa fetta del nostro ego è sempre stato sfamato dalla gratificazione data dal sentire di essere bravi, buoni…belle persone che fanno felici il prossimo. Capita però che ad un certo punto questo circolo gratificazione-frustrazione si interrompa, lasciando solo la frustrazione e quindi, ci conduca a farci quelle domande scomode alle quali non troviamo risposte chiare.

    Che fare?

    Porsi delle domande è il punto di partenza per cominciare ad inoltrarci nel NOSTRO mondo. Le domande come: “ma io cosa voglio?”, ci riportano al IO e non al lui, lei, loro e questo è il primo passo, che ci riporta a noi stessi. Chiediamoci anche quali sono i “vantaggi” che ottengo grazie a questo mio atteggiamento…ad esempio, se faccio costantemente favori a parenti, amici e partner, posso chiedermi: “come mi fa sentire fare questo?” e potrei trovare diverse risposte. Se ci rifletto davvero potrei capire che sì mi fa arrabbiare o mi frustra perché non mi sento ricambiato o riconosciuto, ma potrei anche riconoscere che questo mi fa anche sentire “un buon figlio, un bravo amico, un partner ideale” e così via. Devo perciò iniziare a valutare i limiti in cui voglio stare per rispettarmi, fino a dove arriva la parte gratificante e da dove parte la parte che mi porta a provare sentimenti negativi. Ecco che facendo in questo modo comincerò almeno a vedere dei punti, che non intravedevo, comincerò a conoscermi maggiormente e ad entrare in contatto con me, con i miei funzionamenti e le mie emozioni, per porvi dei rimedi.